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Cinque novità per una settimana di piacevoli scoperte attraverso i generi, in compagnia di uno dei nostri recensori che, in diretta, ci propone gustosi assaggi di un disco, un film, un libro o uno spettacolo, accompagnati dal suo parere e dalle sue riflessioni.
Con questo nuovo album il violinista Alessio Bidoli ci guida alla scoperta del repertorio cameristico di un autore già di per sé poco noto, come del resto lo è la produzione classica del paese di provenienza: il Portogallo. Luis Freitas Branco è stato una figura importante nella cultura portoghese della prima metà del Novecento. Compositore, critico musicale, insegnante di conservatorio e intellettuale attivo nel milieu di Fernando Pessoa, Freitas Branco – di origini nobili – ebbe una formazione cosmopolita che si riflette nella sua musica, ricca di richiami alla tradizione tedesca e al tardo romanticismo francese. I lavori che si ascoltano in questo CD coprono la sua intera produzione da camera e risalgono agli anni giovanili (1908, 1910) ad eccezione della seconda sonata per violino (1928) e sono un episodio poco esplorato che Bidoli ha riesumato quasi per caso, grazie all'editore delle sinfonie di Freitas Branco, attraverso il quale è entrato in possesso anche dello spartito del breve \"Preludio\", praticamente quasi inedito. In questa registrazione, che prosegue il meritorio lavoro di ricerca di rarità del repertorio moderno e contemporaneo, il violinista milanese si avvale della collaborazione di due giganti del concertismo come Alain Meunier al violoncello e Bruno Canino al pianoforte.
La recensione avrà come oggetto il Concerto della Lucerne Festival Orchestra - giunta quest’anno a celebrare i suoi 20 anni - dello scorso 16 agosto per il Lucerne Festival, sul podio Andrés Orozco-Estrada, solista Beatrice Rana.
L’edizione 2023 del Lucerne Festival ha celebrato un importante traguardo, il ventesimo compleanno della Lucerne Festival Orchestra. Tra i concerti previsti dalla ricca programmazione del festival per la straordinaria compagine orchestrale svizzera, quello del 16 agosto. In programma la Rapsodia su un tema di Paganini, op. 43 per pianoforte e orchestra di Sergej Rachmaninoff e la Symphonie fantastique op. 14 di Hector Berlioz, sul podio Andrés Orozco-Estrada, solista Beatrice Rana. Ma, torniamo alla LFO, nata, nel 2003 dal disegno di Claudio Abbado, suo direttore artistico fino alla scomparsa nel 2014, e del direttore esecutivo e artistico del festival, Michael Haefliger. Considerata un’eccellenza assoluta nel panorama classico internazionale, di cui restano celebri ed indimenticabili, tra le altre, le interpretazioni di monumentali brani del repertorio tardo-romantico, in particolare, come le sinfonie di Mahler e Bruckner, divenute vere e proprie incisioni di riferimento. L’affascinante storia di questa “deluxe orchestra”, composta da professori, solisti, cameristi e prime parti di blasonate orchestre - tra cui Berliner Philharmoniker, Mahler Chamber Orchestra, Royal Concertgebouw Orchestra e Accademia Nazionale di Santa Cecilia, per citarne alcune - è indissolubilmente legata a tre grandi direttori d’orchestra italiani. Non solo il suo attuale direttore musicale, Riccardo Chailly, e l’artefice della “rifondazione”, nel 2003, Claudio Abbado, ma andando più indietro nel tempo, Arturo Toscanini. Fu quest’ultimo, infatti che, dopo l'annessione dell'Austria alla Germania del Terzo Reich, nel 1938, decise di non fare ritorno al Festival di Salisburgo ma di riunire per un “Concerto di Gala” i più celebri virtuosi del tempo in un'unica orchestra d'eccezione. Per questo scelse proprio la Svizzera e Lucerna: il concerto si tenne davanti alla casa sul lago in cui Richard Wagner trascorse sei anni della sua vita.
CD: \"I Inside the Old Year Dying\", PJ Harvey ℗ 2023, Partisan Records.
\"I Inside the Old Year Dying\" esce a sette anni di distanza dall’album precedente: è il decimo nella discografia di PJ Harvey, se si includono gli album intestati al trio che portava lo stesso nome, guidato dalla cantante, autrice e polistrumentista Polly Jean Harvey. Nata nel Dorset (una contea del Sud dell’Inghilterra che si affaccia sulla Manica), PJ Harvey è arrivata presto al successo, alla metà degli anni Novanta, quando i suoi primi album da solista – per i quali mantenne il nome del trio – ottennero premi, apprezzamenti dai musicisti e dai critici più in vista a quell’epoca, vendite stratosferiche. Parliamo quindi di un’artista di primissimo piano sulla scena della popular music internazionale, che sconta tuttavia, oltre al fatto di essere donna, l’incasellamento nel genere della musica “alternativa” (oltre a un’altra mezza dozzina di generi più o meno inventati). Alternativa a cosa? Forse proprio al gioco delle identità congelate, all’obbligo di restare fedeli al cliché dei primi successi. Figlia di genitori che ascoltavano Captain Beefheart e Bob Dylan e si intrattenevano con amici musicisti come Ian Stewart, il sesto Rolling Stone, era inevitabile che Polly si familiarizzasse con il folk, il blues, il rock sperimentale, che imparasse a suonare la chitarra con la tecnica del fingerpicking, ma anche un lungo elenco di altri strumenti. A suo nome sono usciti dischi che l’hanno resa nota per una voce rock stridente, affermativa, ma anche per un album di canzoni accompagnate solo dal pianoforte, che sono state accostate (per quanto straniate, lacerate) alle romanze da salotto vittoriane.
Nell’ultimo album tornano molti degli elementi che sono emersi nelle produzioni precedenti, con un filo conduttore costituito da un’esplorazione del registro vocale più acuto, al limite e anche oltre il limite dell’estensione “naturale” della cantante. Senza artifici, senza autotune. I testi sono tratti dal poema epico Orlam, che Harvey ha pubblicato nel 2022, ricco di riferimenti ai miti, alla natura e al dialetto del nativo Dorset.
C'è anche il \"Light Web\", non solo il Dark Web. Questo per dire che in questo oceano ubiquo e sterminato si trovano anche luoghi che invece di alimentare il lato oscuro della nostra epoca, brillano, entusiasmano addirittura, rilanciano l'idea che, nonostante tutto, la rivoluzione mediatica offra anche tesori, vale a dire informazioni, testimonianze, documenti preziosi per accedere a conoscenze un tempo riservate a ristrettissime cerchie di studiosi o addetti.
Il sito (anzi i siti abne vedere) che l'Accademia delle Scienze Ungherese ha dedicato alla musica folklorica dell'Ungheria, e intitolato naturalmente a Béla Bartók e al suo instancabile lavoro di ricerca, è uno di questi luoghi luminosi. Il progetto che più di tutti colpisce si intitola Bartók System. Si tratta dell'archivio online che accoglie in formato digitale il vastissimo patrimonio delle ricerche etnomusicologiche sul campo effettuate in Ungheria dal 1865 al 1943 e di cui Bartók è naturalmente il protagonista, nonché riferimento obbligato per il complesso sistema di classificazione delle melodie da lui elaborato, tutt'ora utilizzato. E da cui per l'appunto la denominazione Bartók System. Come si sa, già a partire dalla fine dell'Ottocento la ricerca etnomusicologica fu rivoluzionata dall'introduzione del fonografo.
Da allora decine e decine di migliaia di registrazioni hanno costituito il fondamento dello studio della musica popolare folklorica. Bertók System ospita quasi 12.000 records con dati, manoscritti, trascrizioni, di cui oltre 4.000 corredati dal relativo file audio. Per la ricchezza dei contenuti e per le risorse che mette liberamente a disposizione di qualsiasi studioso o appassionato, questo progetto costituisce un esempio assolutamente ammirevole, anche per il valore dell'omaggio reso a Bartók, a Zoltán Kodály e agli altri pionieri di questa disciplina i quali hanno insegnato a leggere il folklore musicale come un serbatoio inesauribile di bellezza e poesia.
Varo importantissimo della legge regionale \"Valorizzazione, promozione e sostegno della cultura bandistica pugliese\" con delibere della Regione Puglia e del Comune di Conversano, oltre che dai patrocini della Città Metropolitana di Bari e della Diocesi Vescovile Conversano-Monopoli. In concomitanza di tale evento, che sdogana lo spessore delle bande musicali e di giro, si tengono e si terranno straordinari concerti di quelle che sono considerate le più antiche e importanti bande italiane. A partire dall'evento iniziale che ha visto a Conversàno di Puglia un concerto straordinario di Pino Minafra e la presenza di Riccardo Muti come padrino della manifestazione, si tengono poi nella splendida cittadina ulteriori momenti di grande musica per le successive feste patronali.
L’autore si cimenta in una ricerca appassionante che riguarda la presenza di Duke Ellington a Milano durante una tournée con la sua scintillante orchestra nel 1963. In quell’occasione ci fu una registrazione con un gruppo di musicisti del Teatro alla Scala di un brano sinfonico intitolato \"La Scala. She Too Pretty to Be Blue\" che verrà pubblicata dalla Reprise in un album, “The Symphonic Ellington”, di quello stesso anno. Attraverso testimonianze e una dettagliata ricostruzione dei fatti Bragalini disegna un quadro in cui sono coinvolti sia l’ambiente del mondo musicale italiano che le lotte per i diritti civile degli afroamericani.
La Tempête, \"Bach minimaliste\", Alpha
L’ispirazione per la creazione del programma di questo disco proviene principalmente dal Concerto per clavicembalo in re minore di Johann Sebastian Bach che è il punto di partenza di un percorso che comprende composizioni di autori del XX secolo: Henryk Górecki, Knut Nystedt, John Adams e Jehan Alain.
Una parte delle musiche sono state arrangiate da Simon-Pierre Bestion, il direttore della “Compagnia vocale e strumentale” La Tempête fondata nel 2015, per poterle eseguire con l’orchestra d’archi e adattarsi al gioco di specchi tra passato e presente fondato sulla propulsione iterativa della creazione musicale come suggerisce allusivamente il titolo del disco.
Nell’infinita fonte della musica bachiana si trovano le radici della musica moderna e Bestion ha individuato nell’aspetto ritmico e nelle variazioni e moltiplicazioni di veloci cellule sonore i presupposti dei processi musicali utilizzati sistematicamente dai compositori del cosiddetto “minimalismo”.
Uscito nel 2023 per Alpha in co-produzione con RSI, l'ultimo disco del baritono tedesco Benjamin Appl è una sorta di concept album incentrato sull'idea di mangiare il frutto proibito e sulle sue conseguenze. Il pianista inglese James Baillieu, raffinatissimo musicista, lo sostiene in ogni momento nel dare vita a questa sorta di viaggio nel giardino dell’Eden. Il programma spazia tra Lieder del XIX secolo, Jake Heggie, Francis Poulenc, Marlene Dietrich, Kurt Weill, Hugo Wolf e Just a Gigolo. Inizia con una canzone popolare e termina con \"l'Urlicht\" di Mahler, ma il suo nucleo centrale è chiuso da due iterazioni di una eterea versione per pianoforte solo di \"In Paradisum\" dal Requiem di Fauré, e Appl intervalla i brani con brevi frasi parlate tratte dal \"Libro della Genesi\". Il tema religioso è però trattato anche in modo scherzoso: a volte Appl pronuncia quelle frasi in modo un po' ironico, e la maggior parte delle proposte musicali racchiudono idee decisamente forti - seduzione, trasgressione, rimpianto. L’ironia è acuta anche nei brani di Francis Poulenc, che evidenziano la dizione francese perfetta del cantante. In \"Die Nonne\" di Fanny Hensel - talvolta ancora erroneamente attribuita a suo fratello Felix Mendelssohn - la suora esprime un'inquieta felicità per la morte del suo amante, in modo che i suoi sentimenti possano riacquistare la loro purezza. Appl sembra sapere esattamente di cosa si tratta, e lui e Baillieu trascinano il discorso musicale in modo splendido. Una gemma di Reynaldo Hahn, \"À Chloris\", tra i brani più delicati del disco, mostrano il timbro di Appl al suo meglio, capace di sostenere l'intensità anche quando emerge il più piccolo filo di suono, in una voce sempre vellutata.
Pianista, compositore, direttore d’orchestra e soprattutto jazzista di fama internazionale nonché protagonista sui generis dell’avanguardia europea, Giorgio Gaslini ha segnato oltre sessant’anni di musica con un suo marchio inconfondibile, fornendo stimoli non solo sonori ma intellettuali, in dialogo costante con il proprio tempo e le sue espressioni meno convenzionali. A quasi dieci anni dalla sua scomparsa un libro mette in ordine le sue opere, commentandole una ad una in due sezioni: la costellazione jazz con oltre ottanta dischi e la costellazione contemporanea con cento ottantaquattro partiture. Scritto a due mani da Davide Ielmini, già autore di una ricca monografia/intervista col Maestro, e Maria Giovanna Barletta, \"L’universo Gaslini. Guida ragionata alle sue opere\" (Zecchini Editore) è un reference book inedito e indispensabile ma anche un’affascinante storia della musica vista da una prospettiva inedita, quella di un musicista anomalo, estraneo a qualsiasi scuola ma onnivoro nella sua idea di “musica totale” che, da moderno umanista, cercò di promuovere fin dagli anni Sessanta. Fra i due estremi del jazz e della musica colta contemporanea, presi come “tipi ideali” che non si escludono a vicenda, si situano i tanti percorsi che Gaslini ha esplorato e restituito in modo mai scolastico, dai canti popolari alle colonne sonore, dal rock al pop, dal song americano al poema sinfonico: un maestro che ha reso adulto il jazz italiano e lo ha portato in Conservatorio; un testimone del proprio tempo, in continuo rapporto con i grandi d’Oltreoceano e con le giovani generazioni.
Un luogo fiabesco. In cui la natura, rigogliosa, detta le sue regole. Rosendal è un villaggio norvegese, di circa 800 anime, in cui il verde è tinta dominante. E le sue distese accompagnano la vista fino a perdersi nell’intenso azzurro del mare. “Valle delle rose” poiché sono queste ad ornare i suoi magnifici giardini rinascimentali. Vi si giunge in battello costeggiando i fiordi. Ed è qui che ha luogo nel mese di agosto il festival di musica da camera fondato nel 2016 dal pianista e direttore artistico Leif Ove Andsnes, denominato “Rosendal Kammermusikkfestival”. Il tema di questa edizione 2023 ha riguardato le musiche di Johannes Brahms. Venticinque gli artisti di fama internazionale ospiti della ricca programmazione in cui, oltre ad amate e significative pagine di Brahms, dal 10 al 13 agosto, ha trovato spazio anche l’omaggio a György Ligeti nel centenario della sua nascita. Insieme ad Andsnes sul palco, protagonisti della 4 giorni di full immersion nel repertorio cameristico brahmsiano, nomi tra cui il pianista Bertrand Chamayou, il violinista James Ehnes, la violista Tabea Zimmermann e i violoncellisti Julia Hagen e Sheku Kanneh-Mason.
A dire clavicembalo si evoca musica vecchia di secoli, da Bach in giù. Da Wanda Landowska in avanti, la vita postuma di questo strumento è però legata a filo doppio con i progressi (straordinari) della prassi esecutiva dell'epoca pre-pianistica. Una bella vita, decisamente \"contemporanea\", oltretutto. Ma il clavicembalo è anche una sorta di folletto malizioso che ancora nel XX e pure nel XXI secolo fa capolino nella fantasia sonora di qualche compositore.
Settant'anni fa, neoclassico, in musica era quasi una parolaccia. Ora non più, per fortuna, poiché a poco a poco si è capito quanto ottuso e improprio fosse l'utilizzo di certe etichette. Ecco allora Mahan Esfahani, clavicembalista iraniano di grande esperienza, che insieme all'Orchestra Sinfonica della Radio di Praga e diretta da Alexander Liebreich ci offre, sotto l'ala dell'Hyperion Records, una golosa avventura novecentesca con tre brani poco noti in bilico tra il fascinoso e il sorprendente di altrettanti autori cechi, Bohuslav Martinů, Hans Krása e Viktor Kalabis.
Una rivista che vanta un quarto di secolo di vita è \"Classic Voice\", diretta dal 2008 da Andrea Estero e nelle cui pagine è possibile ritrovare ovviamente tematiche legate alla musica classica ma anche al jazz e al balletto. Da molti anni caratterizza la sua presenza in edicola con un cd allegato in qualche caso di produzione originale in altri con incisioni di grandi nomi come Claudio Abbado, Daniel Barenboim, Radu Lupu, Ton Koopman, John Eliot Gardiner, Kent Nagano, Andras Schiff, Vladimir Ashkenazy, Mstislav Rostropovich, Anne-Sophie Mutter. Da qualche tempo è possibile anche scaricare la musica in digitale e abbonarsi alla rivista on line. Articoli e recensioni sia di cd che di dvd completano l’offerta di questa pubblicazione che si avvale di grandi firme.
Alessandro Vanòli, \"Note che raccontano la storia. I suoni perduti del passato\", edizioni Il Mulino
La vita e la Storia, con la S maiuscola, sono piene di musica, tanto che neppure ce ne accorgiamo. Tanto che neppure ne conosciamo l'eterno, vero, ininterrotto tragitto che dall'alba del mondo arriva fino a oggi. Alessandro Vanòli, studioso di storia mediterranea e appassionato di suoni e costumi delle terre del nostro bacino, ci porta dentro un viaggio sorprendente e fascinoso che raramente si può immaginare. Oltre alla straordinaria capacità divulgativa dell'elemento sonoro e antropologico, scopriamo con lui quanto ci può essere sfuggito della nostra formazione umana: comprendiamo quanto i suoni abbiano \"fatto\" il mondo e noi suoi abitanti.
\"The Ballad of Darren\", Blur, 2023, Parlophone Records Ltd.
All’epoca dei loro primi album, all’inizio degli anni Novanta, i Blur vennero inclusi nel genere del Britpop, che formalizzava in una categoria vaga ma abbastanza convincente le influenze da gruppi come i Beatles, i Kinks, e poi gli XTC. Non poteva mancare una rivalità (costruita sul modello Beatles vs Rolling Stones) con gli Oasis, che peraltro, alla fine, ebbero più successo. Ma a differenza di quelli i Blur mostrarono di possedere una vena capace di crescere e trasformarsi, anche grazie alla personalità del loro autore, cantante principale e strumentista Damon Albarn (del quale abbiamo presentato un album in una delle nostre recensioni). Conclusasi all’inizio del Duemila l’epoca del Britpop, sono seguiti lunghi periodi di riflessione, di collaborazioni con altri musicisti (i Gorillaz), di riunioni: l’ottavo e penultimo album, The Magic Whip, è arrivato nel 2015, dodici anni dopo quello precedente, e The Ballad of Darren esce altri otto anni dopo. È un album breve, 36 minuti in tutto: breve perfino secondo gli standard dei 33 giri del pop-pop degli anni Sessanta (“pop-pop” è il termine usato nel comunicato stampa che annunciava il ritiro dei Beatles dai concerti, nel 1966). All’interno di quella durata è stilisticamente vario. Per la nostra recensione abbiamo scelto i brani che mostrano con maggiore chiarezza il collegamento intelligente con le fonti di un’epoca difficile da superare. Elvis Costello ha ricordato che a un certo punto i nuovi album dei Beatles gli sembravano orribili, inascoltabili, ma un paio di giorni dopo non riusciva ad ascoltare altro. Può succedere.
La International Young Artist’s Presentation (IYAP) fa parte del programma del festival di musica antica Laus Polyphoniae che si svolge in Belgio nella città di Anversa e consiste in una serie di concerti di breve durata che si susseguono in un’unica giornata. Gli ensemble di giovani musicisti che vi partecipano sono selezionati da una commissione che valuta le domande di partecipazione ricevute, ed è formata da responsabili di due istituzioni, Musica Impulscentrum e AMUZ che è la struttura che organizza l’intero festival, più due musicisti esperti definiti “coaches” che poi nei giorni precedenti lo svolgimento della manifestazione dovranno aiutare i gruppi a mettere a fuoco e valorizzare le proprie performance.
Gli ensemble devono solo rispettare i criteri della prassi musicale storicamente informata ma sono liberi di presentare il proprio programma senza dovere aderire al tema generale del festival, che quest’anno era intitolato “Antwerpen Townscape – Soundscape” per rappresentare il mondo musicale del periodo d’oro della storia della città che nel XVI secolo era un centro mercantile cosmopolita grazie al suo porto fluviale.
Dopo avere lavorato per tre giorni con i coaches Raquel Andueza e Peter Van Heyghen il 19 agosto sei gruppi hanno presentato le proprie proposte nella chiesa sconsacrata di Sant’Agostino che è divenuta l’auditorium di AMUZ: Vestigium Ensemble, Contre le Temps, Liane Sadler & Elias Conrad, Duo Yamane, Rubens Rosa e Apollo’s Cabinet.
\"Fryderyk Chopin\", Giordana Rubria Fiori, Edizioni Accademia Nazionale di Santa Cecilia e Ritratti Curci.
Interessanti le nuove pubblicazioni e collaborazioni editoriali fra Edizioni Curci e Accademia Nazionale di Santa Cecilia che hanno dato vita alla collana musicale “Ritratti”. Agili monografie che osservano il modello divulgativo della cultura senza niente togliere ad approfondimento, nozionistica e analisi di ogni autore indagato. Si tratta, dunque, di venti biografie di musicisti, fra i più importanti e noti, curate da giovani musicologi capaci di invogliare e trasportare i lettori, esperti e non, nel magnifico mondoo dei suoni: suoni che poi sono disponibili e facilmente fruibili nella playlist dedicata su Spotify.
La registrazione completa del concerto dei Pink Floyd a Brescia, 19 giugno 1971.
È stata pubblicata di recente sul web la registrazione audio del concerto che i Pink Floyd tennero a Brescia, nel Palazzo delle manifestazioni artistiche, il 19 giugno 1971. Il concerto attirò un vasto pubblico da tutto il Nord Italia e oltre: si può dire che gran parte della scena pop-rock milanese fosse presente. Ci sono varie ragioni di interesse per questa registrazione. Una è tecnica: ciò che ascoltiamo è il risultato di un lavoro meticoloso di restauro, di missaggio e di montaggio di diverse registrazioni originali, realizzate da appassionati con strumenti di vario livello, da un Gelosino monofonico (allora già un registratore obsoleto, quasi un giocattolo) a macchine semiprofessionali con ottimi microfoni. Come quegli appassionati fossero riusciti a installarsi al centro della platea coi loro registratori, i microfoni, le aste (e dove avranno attaccato le prese elettriche?) è già un mistero. Ma quelli erano i tempi: oggi ai concerti si sigillano perfino gli smartphone, e guai se qualcuno si fa vedere con un registratore digitale in mano. Chi ha compiuto e pubblicato il restauro, nascosto sotto lo pseudonimo di uno youtuber, ha fatto un gran lavoro per integrare le diverse fonti, sovrapponendole se necessario o montandole là dove qualcuna presentava dei buchi. Poi c’è una ragione squisitamente musicale: in quel concerto i Pink Floyd usavano un impianto di amplificazione con le casse disposte in cerchio attorno al pubblico; per lo più il missaggio era stereofonico, ma spesso i suoni venivano fatti circolare, o sorvolavano la platea, sotto il controllo di un joystick maneggiato da Rick Wright, l’organista. Quindi la registrazione ora disponibile sul web è più completa e suggestiva di qualunque ripresa che fosse stata fatta (come si usava) collegando un registratore all’uscita stereo del mixer di sala, e in effetti molti dei commenti lasciati in rete affermano che la qualità di questo lavoro è di gran lunga superiore a quella dei bootleg realizzati in modo tradizionale. Infine, sempre sul piano strettamente musicale, c’è il fatto che i Pink Floyd di allora (nel periodo compreso fra le uscite di due dei loro album più noti, Atom Heart Mother e Meddle) sfruttavano la dinamica estrema del loro sistema audio per passare dal pianissimo con cinque “p” al fortissimo con cinque “f”, a dispetto di quanto aveva detto loro Hans Keller, musicologo tedesco, durante un’intervista alla BBC, secondo il quale loro suonavano “sempre troppo forte”. Non era così, e chi c’era – a Brescia - se lo ricorda.
Prisma, \"In the Streets of London: A 17th Century Musical Pub Tour\", Fuga Libera.
Il giovane ensemble Prisma dopo aver vinto nel 2015 la International Biber Competition in Austria è stato sostenuto dal programma europeo Eeemerging+ confermando la sua qualità. Dopo aver registrato due dischi dedicati alla musica italiana il gruppo ha sognato di ascoltare voci e suoni di un pub immaginario frequentato da tre personaggi straordinari, due della stessa generazione vissuti nella seconda metà del Seicento, l’Orfeo Britannico Henry Purcell e il musicista editore John Playford autore della celebre antologia The Dancing Master, insieme al violinista scozzese Niel Gow nato nel secolo seguente.
Ispirato da queste fonti e dalla musica tradizionale irlandese, l’ensemble ha rielaborato e giustapposto diverse danze e melodie per rievocare la contiguità e lo scambio fra musiche di intrattenimento e musica d’arte che ha caratterizzato la scena teatrale inglese dell’epoca della Restaurazione e oltre.
L’amore, non c’è bisogno di ricordarlo, è il tema più esplorato dalle canzoni in ogni luogo e tempo. Ted Gioia nota che le canzoni d’amore costituiscono il novanta per cento della popular music contemporanea ma nel novanta per cento dei casi critici e musicologi si occupano del restante dieci. Il libro che presentiamo oggi va in controtendenza e si concentra sull’origine stessa delle canzoni d’amore. \"The Origins of the Love Song\" – sottotitolo Sexual Selection or Sexual Frustration? (Cambridge Scholars, 2023) di Nino Tsitsishvili, etnomusicologa georgiana affiliata all’Università di Melbourne, getta nuova luce sulle canzoni d’amore e l’amore romantico: per nulla un tratto evolutivo dell’Homo Sapiens ma, al contrario, una caratteristica emersa col passaggio dalla civiltà di cacciatori-raccoglitori a quella di allevatori. Solo allora il rapporto di coppia divenne centrale, la promessa sposa divenne oggetto di desiderio dilazionato grazie a tabù e restrizioni, e dalla frustrazione– non dalla selezione naturale – ebbero origine il corteggiamento, la sublimazione degli istinti e la canzone d’amore, assente negli stadi più primitivi dell’evoluzione della specie quando la promiscuità sessuale e la libertà di accoppiamento che caratterizzano i nostri antenati (scimpanzè, bonobo) non la rendevano necessaria. Un libro affascinante che sfata un mito universale – l’amore - attraverso lo strumento delle love songs mescolando antropologia, socio-biologia, evoluzionismo ed etnomusicologia.
“Gran Teatro Italia. Viaggio sentimentale nel paese del melodramma”, autore Alberto Mattioli, Garzanti.
Un viaggio alla scoperta degli scrigni italiani deputati ad ospitare, nei secoli, gli spettacoli d’opera è l’ultima fatica editoriale di Alberto Mattioli, giornalista professionista - scrive per La Stampa, Il Foglio, Il Secolo XIX e Amadeus - ed esperto di teatro musicale. Dalla sua arguta e brillante penna nasce “Gran Teatro Italia. Viaggio sentimentale nel paese del melodramma”, ispirato testo, edito da Garzanti, che in un immaginario gran tour accompagna il lettore tra i più rilevanti teatri storici della penisola: \"dal Regio di Torino al Massimo di Palermo, dai velluti rossi della Scala di Milano alle pietre dell’Arena di Verona, dai palchi dei minuscoli teatri storici marchigiani alle ampie sale del San Carlo di Napoli, per scoprire come le storie si mescolano alle leggende per fondare miti, ma anche come cambiano i gusti e le abitudini del pubblico, che ruolo i loggioni hanno avuto in celebri debutti e in fiaschi clamorosi, quali grandi viaggiatori stranieri hanno amato i palcoscenici nostrani\", come recita la seconda di copertina. Dei teatri, quindi, nella sua narrazione emerge non solo la funzione di luoghi di spettacolo ma anche e soprattutto quella di luoghi di assoluta rilevanza, nei secoli, per la vita civile e culturale del Paese. Tanto da divenire così strumento tra i più efficaci per leggere e comprendere l’Italia, come lo stesso Mattioli suggerisce.
“Tick, Tick… Boom!” di Lin-Manuel Miranda, basato sul musical omonimo di Jonathan Larson. Disponibile su Netflix.
Jonathan Larson è l’autore di “Rent”, uno dei musical di maggiore successo degli ultimi decenni. Lin-Manuel Miranda, regista ma anche a sua volta compositore di fama, ha ripreso un monologo-musical di Larson, che racconta delle angosce del giovane compositore, in vista del prossimo trentesimo compleanno. Vorrebbe diventare famoso prima di quella data, ma sa che non ci riuscirà, e sente quel ticchettio nella testa. Si barcamena fra il lavoro in un diner di New York, le feste con gli amici, tutti pieni di speranze e sfiduciati come lui, e la composizione di un musical, “Superbia”, per il quale si appresta ad allestire una messa in scena provvisoria per trovare finanziatori. Molti lo incoraggiano, riconoscono il suo talento, e fra questi c’è perfino Stephen Sondheim, il co-autore di “West Side Story” e di infiniti musical e canzoni di successo. Seguiamo le prove, i dubbi, gli entusiasmi effimeri, attraverso il racconto cantato dello stesso Larson. C’è in particolare una canzone che dovrebbe scrivere, per dare un centro di gravità allo spettacolo, ma non gli viene. Alla fine la presentazione di “Superbia” va bene, ma nessun finanziatore si fa vivo, e Larson capisce che deve ricominciare da capo. La sua fidanzata, che lo lascia, gli regala un quaderno pentagrammato per comporre il prossimo lavoro. Il film si dipana fra le canzoni, tutte di grandissima vitalità, e momenti di malinconia: sono gli anni dell’AIDS, alcuni dei migliori amici di Jonathan si ammalano e muoiono. Alla fine veniamo a sapere che il nuovo lavoro di Larson – “Rent”, ispirato per il testo alla “Bohème” di Puccini – arriva a Broadway, dove resterà in scena per dodici anni, incassando 280 milioni di dollari, vincendo un Premio Pulitzer e un Tony Award, fra tanti altri riconoscimenti. Ma Jonathan Larson non lo saprà mai: morirà la notte prima del debutto in un teatro off-Broadway. Formidabile la regia del film e l’interpretazione di Andrew Garfield (Larson), vincitore di un Golden Globe per il miglior attore in un film commedia o musicale nel 2022.
\"Mi vengono i sudori freddi quando sento la definizione storia della musica, che evoca compositori defunti da un tot, di impettiti signori in panciotto e parrucca. Mi risuona nelle orecchie il ritornello di una solenne danza a tempo di walzer ballata da qualche sovrano decrepito e dai suoi cortigiani\". Si apre così \"Musica. Una storia sovversiva\" (Shake Edizioni) il libro di Ted Gioia, famoso e autorevole storico e critico di jazz, da poco uscito in traduzione italiana. Un titolo e un inizio che sono anche una dichiarazione di guerra alla storia della musica narrata secondo l'ottica accademica. E guerra in effetti è, nell'impostazione generale che suona come una messa in stato d'accusa di \"istituzioni\", \"sistema\", \"mainstream\" e dei loro \"capi\", così definiti genericamente, quasi mai indicando un nome o un'istituzione specifica. Un mainstream, a quanto si legge, congenitamente dedito a reprimere e neutralizzare la natura e i contenuti ontologicamente sovversivi e ribelli della musica, censurandone e manipolandone la storia. L'autore applica globalmente alla musica, dalla preistoria ai giorni nostri, il modello storicamente fondato e largamente acquisito della black music in balìa di una società bianca dapprima schiavista e poi abile sfruttatrice e venditrice di ciò che in precedenza era intollerabilmente scandaloso. Ma questa generalizzazione indiscriminata, avarissima di fonti e tuttavia ricca non di rado di informazioni e di vicende raramente prese in considerazione dalla storiografia accademica, si risolve di norma in una ricorrente e irritante petizione di principio. Il che colora il resoconto di Ted Gioia di un imbarazzante tono cospirazionista, un tono che non si riesce a capire se convinto o furbesco (considerato l'odierno dilagante successo del genere complottista). Un libro comunque da leggere e anche da meditare, innanzitutto perché costringe in effetti ad allargare il campo visuale a terreni poco esplorati. E, secondariamente, per toccare con mano il linguaggio, i temi, la logica (o i sofismi) di quel vasto assalto alle discipline scientifiche e ai principi del razionalismo, che imperversa in questi nostri anni, in nome del loro apodittico asservimento a un potere occulto.
\"Colonne Sonore\" è la rivista web che si occupa da vent’anni, unica in Italia, di musica per film. Nacque in versione cartacea nel 2003 ad opera di Massimo Privitera suo ideatore e fondatore, insieme ad Anna Maria Asero, Maurizio Caschetto, Pietro Rustichelli, Alessio Coatto e Giuliano Tomassacci. Dal 2006 ha grande diffusione via internet su tutto ciò che compete la musica applicata alle immagini, come si definisce ora in senso ampio, giacché si occupa di cinema, serie, videogiochi e multimedia. Ogni giorno si rinnova di notizie, articoli e novità tenendo aggiornati appassionati e non, su un mondo musicale considerato sempre particolare e appartato e che invece molto ha dato e ha da dire in campo musicale colto e tradizionale. Compie vent’anni ricordando i suoi primissimi abbonati: Ennio Morricone e Pino Donaggio.
Nili Belkind, \"Music in conflict. Palestine, Israel and the Politics of Aesthetics Production\", Routledge.
Tra il 2011 e il 2012 Nili Belkind ha compiuto un accurato lavoro di ricerca sul campo in Israele e nella West Bank (Cisgiordania) per verificare e comprendere in che modo i conflitti tra israeliani e palestinesi si rispecchiassero nella creazione e produzione musicale. Da questa esperienza è nato lo studio di carattere etnografico ed etnomusicologico nel quale ha analizzato le testimonianze e le micronarrative nel contesto di una situazione sociale e politica estremamente complessa, tra confini reali e immaginari, coesistenza, resistenza, restrizioni e violenta conflittualità.
Nili Belkind si è formata nel mondo accademico degli Stati Uniti, dove ha vissuto per trentacinque anni prima di tornare in Israele, e ha una esperienza professionale nel campo dell’industria musicale come produttrice prevalentemente nel campo della musica latino-americana, e questo ha favorito la sua capacità di descrivere e analizzare una materia così delicata e complessa in modo critico.
L’autrice ha inoltre creato il canale YouTube Music in Conflict grazie al quale oltre alla presentazione del suo studio registrata nel Jaffa Theatre nell’aprile del 2021 con la partecipazione di musicisti e la presenza di varie testimonianze e videoclip, è possibile visionare e ascoltare parte delle musiche prese in esame nel suo racconto suddivise in cinque playlist che corrispondono ai capitoli del libro.
Ivo Antognini è uno di quei musicisti che si deve conoscere attraverso la sua musica. Una musica che parla, spesso sussurra, a volte grida ma sempre con garbo e con l’intensità dell’animo del suo creatore. Un creatore la cui esperienza musicale vanta un percorso che dal jazz lo ha portato alla polifonia più cristallina, e dalle prime esperienze alla fama – oggi - in tutto il mondo, da Occidente a Oriente, nel nome della musica corale.
Quella di Antognini è musica che dialoga con lo spirito degli esseri viventi e lo arricchisce, lo colma e lo rinfranca nel costante bisogno di riempire quei vuoti che il vivere contemporaneo, violentemente, è capace di imporre. È musica oltre il tempo e oltre lo spazio e sia che attraversi percorsi sacri, sia che attraversi la narrazione del quotidiano, veicola sempre un messaggio che eleva e appaga.
Come il suo ultimo disco dall’evocativo ritolo “Come to me in the silence of the night” che per la casa discografica Hyperion porta la firma prestigiosa del Coro del Trinity College di Cambridge diretto da Stephen Layton. Un prodotto discografico di altissimo livello che svetta nelle classifiche internazionali, ovvero dove Antognini è più conosciuto. Da non perdere.
\"Rumore - Human Vibes\" è un docufilm diretto da Simona Cocozza e prodotto da Amnesty International Italia, Flicktales e Giallomare Film centrato sull’incontro tra musica e diritti umani attraverso le canzoni che negli ultimi 20 anni hanno ricevuto il Premio Amnesty nella sezione Big, ovvero il riconoscimento che il festival “Voci per la Libertà” conferisce a quegli artisti che, nei testi delle loro canzoni, abbracciano e danno forza ai temi della Dichiarazione universale dei diritti umani. Presentato di recente al BIF&ST – Bari International Film Festival, il docufilm alterna interviste a Ivano Fossati, Carmen Consoli, Niccolò Fabi, Paola Turci, Daniele Silvestri, Modena City Ramblers, Nada, Negramaro, Roy Paci, Simone Cristicchi, Mannarino, Brunori Sas, Frankie Hi-Nrg mc con immagini che documentano gravissime violazioni di diritti umani, dal genocidio dei Tutsi alla guerra in Ucraina. Il tutto è contrappuntato da frammenti delle canzoni più significative emerse nelle varie edizioni di un festival unico nel panorama internazionale.
María Dueñas, \"Beethoven and Beyond\", Wiener Symphoniker, Manfred Honeck, Deutsche Grammophon.
Per il suo album di debutto con la “yellow label” Deutsche Grammophon, dal titolo \"Beethoven and Beyond\" (data uscita 5 maggio 2023), la violinista di origine spagnola appena ventenne, María Dueñas, può “permettersi” di proporre uno dei capisaldi del repertorio violinistico, il Concerto per violino e orchestra in re maggiore, op. 61 di Ludwig van Beethoven. Lo fa rimarcando che “Non puoi fare affidamento sul virtuosismo nel concerto di Beethoven; devi rivelarti” e questo può avvenire solo attraverso il suono. E così accade. Grande musicalità, suono brillante, centrato e cristallino sono le caratteristiche immediatamente percettibili del suo violinismo. Ma Dueñas si rivela oltre che come interprete, come compositrice. Sue sono infatti le cadenze del concerto proposte, originali e “attuali” pur nel pieno rispetto dell’essenza della scrittura beethoveniana. La registrazione dal vivo al Musikverein di Vienna, vede ad accompagnarla i Wiener Symphoniker e sul podio Manfred Honeck. Inoltre, alle cadenze per i tre movimenti da lei composte ne esegue altre cinque del primo movimento di autori differenti - Spohr, Kreisler, Wieniawski, Ysaÿe e Saint-Saëns - ad evidenziare quali siamo stati i loro differenti approcci al medesimo capolavoro violinistico. Dei cinque il cd contiene altre sue pagine favorite tra cui Liebesleid di Kreisler, Havanaise di Saint-Saëns e Légende di Wieniawski, l’Adagio dalla Sinfonia concertante n. 1 di Spohr e la Berceuse di Ysaÿe.
\"Musica Jazz\" è una delle più autorevoli riviste dedicate a questo genere e anche una delle più longeve se si considera che dal 1945 è stata in edicola con importanti iniziative come i supporti discografici in vinile dal 1981 e poi dal 1991 divenuti CD. Fondata a Milano da Gian Carlo Testoni diretta dallo stesso fino al 1965 per passare poi ad Arrigo Polillo che è stat una vera autorità nel campo della musica afroamericana sui cui scritti intere generazioni si sono avvicinate al jazz. Adesso si può ottenere un abbonamento cartaceo o digitale cliccando qui.
Fra gli organici che formano i pilastri del repertorio cameristico, il Trio con pianoforte è il diretto discendente di una tradizione che è comparsa sulla scena della storia più di quattro secoli fa, all'inizio del Seicento, facendo seguito all'introduzione del basso continuo. Ma dall'epoca della \"Sonata per violino e b.c.\" o come venne anche chiamata \"Sonata a tre\", in quanto la realizzazione del basso continuo veniva spesso affidata a una coppia di strumenti, molta acqua è passata sotto i ponti. Dall'originaria funzione di accompagnare il canto del flauto o del violino, gli altri due strumenti da subordinati si sono totalmente emancipati, fino all'Ottocento, quando violino, violoncello e pianoforte divennero l'antonomasia della musica da camera per tre strumenti. Sulla vetta - e forse non poteva essere diversamente - incontriamo guarda caso tre compositori: Beethoven, Schubert e Brahms. Gli ultimi tre trii di Beethoven, i due di Schubert e i tre di Brahms sono in questo senso una sorta di sancta sanctorum.
David Schultheiss, Yves Savary e Pierpaolo Maurizzi, violino, violoncello e pianoforte rispettivamente, riuniti da una comune passione e visione consolidatasi magnificamente lungo gli anni, hanno aperto il tabernacolo e ne hanno estratto due gemme: il Trio in Si bemolle maggiore op. 99 di Franz Schubert e il Trio in Si maggiore di Johannes Brahms op. 8. Li abbiamo ascoltati recentemente in concerto a Bologna, per la rassegna \"Conoscere la Musica\".
\"Il paesaggio sonoro come teatro educativo. Ecologia – Etica – Estetica\", di Enrico Strobino e Maurizio Vitali, Progetti Sonori, Mercatello del Metauro (PU), 2023.
Ecco un libro rivolto agli insegnanti, non solo di musica, che può essere di lettura utile e affascinante anche per chi fa musica, per chi l’ascolta, per chi ne vuole sapere di più. Il concetto di “paesaggio sonoro” è stato pubblicizzato dal musicologo e compositore canadese Raymond Murray Schafer poco meno di cinquant’anni fa, con il suo libro “The Tuning of the World”, tradotto in italiano nel 1985 proprio col titolo “Il paesaggio sonoro”. Gli autori del libro che recensiamo, Enrico Strobino e Maurizio Vitali, sono stati i pionieri non solo in Italia dello sviluppo delle idee sul paesaggio sonoro in un contesto didattico, andando incontro all’entusiasmo dei docenti che hanno seguito i loro suggerimenti, ma anche alle resistenze di coloro che continuano a essere convinti che l’insegnamento della Musica (con la emme maiuscola) consista semplicemente nella trasmissione delle opere e dei valori del repertorio eurocolto. È evidente che la valorizzazione del paesaggio sonoro, di un approccio ecologico, etico, estetico al suono del mondo, implica una revisione e un ampliamento del concetto di musica, come quello che in tutto l’arco del Novecento è stato abbracciato da musicisti, filosofi, antropologi. Tra i padrini del lavoro di Strobino e Vitali, oltre a Schafer, oltre a oscuri ma eccellenti pionieri anche italiani della didattica del paesaggio sonoro, ci sono anche John Cage, Edgard Varèse, György Ligeti, i musicisti futuristi, e i protagonisti della musica concreta, elettronica, e del jazz, e del rock.
Il libro, denso e pieno di stimoli in ogni pagina (e sono più di trecento), è corredato da un DVD-dati che raccoglie esempi audio e video delle attività commentate.
Niccolò Fabi esordisce nel 1997 al Festival di Sanremo e si aggiudica subito il Premio della critica tra le nuove proposte. In 25 anni di carriera, 11 album di inediti e 3 raccolte, i riconoscimenti al suo lavoro di cantautore sono stati numerosi e prestigiosi, tra questi anche la Targa Tenco e la Targa Faber.
Il suo lavoro autorale cresce come una pianta spontanea nel solco profondo che unisce cogito e sentio: le sue parole sono coraggiosamente semplici ma inusuali nel contesto della canzone e, soprattutto, spesso capaci di illuminare l’indicibile, quelle emozioni che conosciamo, per averne fatto esperienza, ma difficilmente sappiamo riconoscere.
La sua poetica, nello scandagliare la nostra umanità, non si dimentica del nostro essere sociali e questa sensibilità si è spesso tradotta in canzone (del 2019 anche il Premio Amnesty International per “Io sono l’altro”) e in numerose iniziative benefiche e umanitarie.
In questa serie di 10 conversazioni con Sandra Sain entriamo nel suo laboratorio creativo, dove nascono le sue canzoni, delicate e affilate, che raccontano la nostra storia, individuale e collettiva.
Rete Due inaugura una nuova trasmissione musicale a carattere tematico. Ascolteremo e parleremo delle creazioni del periodo cosiddetto \"barocco\", all’incirca tra il 1600 e il 1750, date arbitrarie ma, in musica, simboliche: la prima opera, L’Euridice di Jacopo Peri, fu rappresentata nell’anno 1600, e il melodramma significò la nascita di un nuovo mondo musicale; Bach, il compositore più importante di questi decenni, morì nel 1750. La trasmissione prende in considerazione i temi che contraddistinguono questo periodo della storia della musica: la nascita e lo sviluppo della monodia e dell’opera in musica, lo stile concertato, il basso continuo e la nuova sensibilità tonale, il concerto, l’impressionante letteratura per strumenti solistici, l’aria con da capo, gli stili nazionali, il concerto grosso, la sonata e la sonata a tre, l’oratorio. Tra i compositori incontriamo veri campioni: Monteverdi, Frescobaldi, Dowland, Cavalli, Purcell, Carissimi, Schütz, Charpentier, Buxtehude, Pachelbel, Lully, Biber, Marais, la dinastia dei Couperin, Rameau, Corelli, i due Scarlatti, Händel, Vivaldi, oltre al sommo Bach e alla sua numerosa famiglia di musicisti; in verità si tratta solamente delle punte di un enorme iceberg, che, anche nelle parti più sommerse, presenta standard qualitativi altissimi, e belle sorprese, in continua fase di riscoperta. Vi saranno poi molte storie da raccontare: l’omicidio di Leclair, Vivaldi sacerdote e amante, la corte del Re Sole, le donne compositrici e interpreti, Domenico Scarlatti alle corti iberiche, le tanto amate voci dei castrati; senza dimenticare gli spunti offerti dal cinema, pensiamo anche solamente ai successi di Tous les matins du monde, Farinelli, Le roi danse, Vivaldi…
Nel paese dei Barocchi, realizzato da Giuseppe Clericetti, userà un occhio di riguardo alle novità discografiche, e si nutrirà di gustosi confronti interpretativi.
Al pari di note segnate con l’evidenziatore, quelle che nell’improvvisazione di stampo jazzistico rimandano alle radici più profonde della musica afro-americana, \"Le note blu\" punta la sua attenzione al mondo delle novità discografiche ed editoriali legate al jazz e alle odierne musiche d’improvvisazione. Verranno inoltre suggeriti appuntamenti concertistici da non mancare, tra Svizzera italiana e vicina Italia, nella settimana a seguire.
Nato a New York verso la metà degli anni ’70, l’hip hop si diffonde in tutto il mondo diventando uno dei movimenti culturali più apprezzati e influenti a livello mondiale.
Nuove uscite, classici internazionali, novità dalla scena Rap locale e aggiornamenti su tutto ciò che è legato al mondo dell’hip hop.
L’epopea della squadra praticamente perfetta, guidata nel 1970 da Sua Maestà Pelé alla conquista del terzo titolo di Campioni del mondo c’entra ma solo in minima parte. La protagonista assoluta di questa serie in dieci puntate è la musica brasiliana degli anni 70, un periodo particolarmente ricco e stimolante che permise al Brasile di affermarsi come uno dei Paesi più influenti a livello mondiale nell’ambito musicale.
In questa pillola settimanale esploriamo il panorama musicale della Svizzera italiana alla ricerca dei migliori talenti della nostra regione e vi sveliamo le gemme nascoste e le novità più entusiasmanti della scena musicale locale.
Vuoi saperne di più? Visita il portale www.mx3.ch.
Ogni giovedì alle 19:10, fino alla fine dell'estate, Jgor Gianola torna con “I Love Radio Rock”, il programma dedicato alle sonorità hard rock e heavy metal che hanno fatto la storia.
Ti è piaciuta la musica?
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Un viaggio tra gli artisti e i brani che hanno elettrificato la nostra vita e fatto la storia del rock tra gli anni ’60 e ’90.
Il mensile radiofonico dedicato alla musica contemporanea ed improvvisata vuol essere un crocevia dove compositori e interpreti, organizzatori, ricercatori, festival svizzeri, raccontano il loro ambiente sonoro, per avvicinare il pubblico all’ascolto e far scoprire un mondo affascinante e a volte inesplorato.
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In onda ogni ultimo martedì del mese alle 20:05 su Rete Due.
Sarà dedicata all’amore una parte dell‘estate di Alphaville: ogni giorno per 10 settimane nello spazio del Dossier, le ascoltatrici e gli ascoltatori troveranno 10 autori che ci racconteranno un loro personale modo di interpretare l’amore. Il titolo della serie è \"L’amore e altre deviazioni\", ed è ispirato da un verso del cantautore Ivano Fossati, tratto dalla canzone \"La mia giovinezza\". Era il 2000, Fossati pubblicava La disciplina della terra.
Da questo verso siamo partiti coinvolgendo nove autori che si avvicenderanno di settimana in settimana per tutta l’estate di Rete Due: la filosofa Ilaria Gaspari, le giornaliste musicali Paola De Angelis e Giulia Cavaliere, lo sceneggiatore Peppe Fiore, la scrittrice Beatrice Cristalli e la giornalista di Azione Romina Borla, i colleghi Lou Lepori e Sergio De Laurentis e il docente Giona Mattei.
\"L’amore e altre deviazioni\" però doveva aprirsi con una settimana speciale. E c’era solo un modo per farlo: invitare Ivano Fossati a raccontarci la sua visione dell’amore, passata attraverso decine di canzoni, compresa quella che ha dato il titolo alla nostra serie. Fossati, che, come scriveva, è stato \"colpevole d'aver nutrito l'amore e altre deviazioni, come la malinconia. come la nostalgia\".
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